fuga dalla miseria

 E fu sera e fu mattina ...ultimo giorno.


L’uomo è seduto sui gradini dell’ingresso di un ristorante – trattoria della mia città, proprio nel punto dove Napoli diventa periferia. Il suo aspetto è malmessom vestiti logori, barba incolta ed è stanco e affamato.
Il gestore della trattoria è impietosito e gli si avvicina e gli porge un contenitore di alluminio con un po di cibo, l’altro accetta e, nonostante la fame atavica, si controlla nel farfugliare un blando ringraziamento. “ho dimenticato la forchetta……”
. "Lo so.." rispose.
 Non aveva nessuna importanza: L’uomo divorò tutto imboccandosi con del pane e con le mani e poi riprese il cammino, dopo tutto, la fame era “solo” un problema secondario.. doveva agire, muoversi, tentare qualcosa
Pochi spiccioli per stordirsi economicamente e per guardare “vaccinato” una sfilza di negozi, persone, situazioni che altrimenti avrebbero significato un inferno di ricordi.
Lungo la strada, sporca e soleggiata all’inverosimile, una interminabile varietà di attività commerciali,  negozi di cianfrusaglie esotiche, bar lussuosi, banche, officine
ed un armeria.
Proprio presso l’armeria si soffermò e questo era strano poiché l’uomo aveva sempre detestato le armi ma quel giorno, in quel momento preciso, i “vapori” benzodiazepinici misti all’alcool stavano manipolando la sua percezione,
Fu così che i riflessi delle varie lame d’acciaio e la cromatura delle canne e l’ingegnosità e lo sfarzo di quella vetrina l’affascinarono fatalmente.
Il resto fu incredibilmente facile: procuratosi che ebbe ciò che voleva e constatata l’assoluta mancanza di morale del mondo e una straordinaria, innata, abilità nel tenere un’arma fra le mani, gli bastò puntarla verso obiettivi sempre diversi.
Prepotenti e spacciatori furono i primi gradini di una ascesa irresistibile fatta di agguati, conti sospesi e regolati negli androni dei palazzi, nei megaparcheggi e nei cantieri. Una realtà di sangue e fuoco che ogni giorno sembrava rivelare all’uomo la sua vera essenza come se, da sempre, l’avesse attirato a sé, aspettato pazientemente, fino al giorno magico del battesimo del sangue.
L’indole assassina aveva preso il sopravvento ed aveva gli stessi diritti della mansuetudine ed anzi offriva la possibilità di godere dei privilegi di chi ha denaro e potere.
L’uomo adesso è seduto al tavolo della trattoria di cui è diventato proprietario e se gli chiedete: “E’ giusto così”? Lui si alza e porta da mangiare ad un barbone, sempre lo stesso ogni giorno seduto sul marciapiede, fino a che un giorno lo trovò morto con un pezzo di pane in mano e con un sorriso assurdo sul volto
.

2)

L'uomo senza giorno

La nostra storia inizia citando il “dolore del vivere,” cioè la depressione, la dipendenza e tutti i disagi che ci portiamo appresso, qui figurati come  un atavico ed atroce serpente il cui scopo è la sofferenza e la morte. Una presenza costante che si rafforza e si palesa sempre di più ad ogni passo della vita ma specialmente ad ogni passo falso. Ogni giorno in compagnia del serpente che cerca sempre di stritolarti ma si ride e si va oltre fino a che la debolezza non ti permette più di ridere ed allora lui ti attacca deciso ed il suo attacco è terribile. 
La coscienza è sempre più resa vulnerabile e diviene una finestra attraverso la quale contempliamo il nostro fallimento e mentre questo succede il mimetico serpente lascia partire schegge di dolore autentico che fanno impazzire la sensibilità; forse un bene, forse un male. Così si cade nella trappola dell'angoscia, dei sensi di colpa, del dolore e diventa sempre più forte .. ed è troppo. Cosi come un tempo l'uomo poteva desiderare la morte per evitare che le torture continuassero, allo stesso modo ora si desidera porre fine al dolore. Vogliamo che finisca. La decisione è presa e stranamente già si inizia a stare meglio ma perché? , ma visto che ci si sente meglio perché non andare avanti per un altro fottuto giorno alla fine del quale lasceremo al nostro inconscio l'impegno di trovare una nuova scusa per ritardare la nostra dipartita? 
Quante trappole usa la mente, forse è l'istinto a volerci conservare vivi... forse è Dio... 
Ma il serpente attacca la nostra percezione ed anche la memoria ne è sconvolta e la realtà diventa lisergica. 
Non si può rimandare, bisogna avere il coraggio di ingoiare tanto dopo non ci pensi più e se sei solo e disperato diventa più facile no? Anzi è quasi necessario dover ingoiare. 
L'azione è compiuta ed il mondo si fa buio... sono vicino... vicino...ed è un lampo a tirarmi su, un autentico caleidoscopio di ricordi, un esercito di ominidi ognuno dei quali mi sussurra un ricordo, un "mio" ricordo, finito, chissà come in una sorta di "segreteria collettiva" e ... all'occorrenza rinviata al mittente.
Che grande orologiaio deve esserci lassù e come sono diventati alti e impervi i gradini dei marciapiedi specie quando (ora lo so) ti sei disteso, cullato da una coscienza intermittente che, ironia della sorte, mi lascia un'unica certezza: l'indifferenza dei passanti nella quale rivedo l'immagine del serpente. Un serpente di gente che passa oltre. Un fiume di persone. 
Ad un tratto le inquietanti spire del rettile si trasformano nel potente moto sinuoso di un fiume che, benché sembri asettico e placido, mi spinge a cercare riparo verso l'alto, lungo una parete nera, mi arrampico su quello che sembra un balcone ma due figure mi spingono giù: "non è ancora il tuo momento" ( lo ricorderò poi come l‘ultimo saluto dei miei genitori che , in vita, non poterono darmi ). Così mi tuffo nell'incomunicabile solitudine della notte mentre l'onda nera mi tiene sospeso fra terra e luna, fra una realtà d'agonia con gli addominali che si contraggono spasmodicamente ed un'altra che non conosce limiti fisici, fra angeli dell'universo.
Il sole, appena sorto, stabilisce autorevolmente il mio stato di "sopravvissuto" e attorno a me noto solo polvere e terra calda. Nel rialzarmi provo una straordinaria sensazione di completezza mentre tutta la sconvolgente malvagità dell'indifferenza viene recepita compassionevolmente. 
IL cuore del mondo torna a battere e mi spinge serenamente verso un domani forse ancora più duro, ma anche io lo sarò da quel momento in poi.